Monica, settore fieristico: “Siamo tutti nella stessa tempesta, ma non tutti abbiamo la stessa barca per affrontarla.”

Il grido d'allarme dell'imprenditrice bolognese Monica Gaggi.

Quando si visita una fiera, una mostra o un convegno, si è accolti da un ambiente scintillante, maestoso, perfetto. Ma un visitatore non sa cosa c’è dietro tutto questo.  Se si lavora nel settore fieristico si assiste al compiersi di una vera e propria magia. In circa 48 ore, capannoni vastissimi, prima vuoti e sporchi, si riempiono di pannelli, luci, colori, strutture che non appaiono certo dal nulla.

Li realizzano loro, gli allestitori, i maghi invisibili che trasformano quelli che prima erano solo dei sogni in realtà. Nessuno li vede, nessuno li sente, nessuno parla di loro. In questo momento difficile, in tempi di Coronavirus, nessuno sa nemmeno che esistono.

Una delle frasi più ricorrenti da quando è scoppiata la pandemia è “siamo tutti sulla stessa barca”. Non è assolutamente vero. Siamo tutti nella stessa terribile tempesta, questo si, ma per quanto tutti colpiti dalla bufera, che ogni giorno si fa più incalzante e soffia sempre più forte, la stiamo affrontando tutti con mezzi diversi, e non è difficile immaginare chi subirà dei danni più o meno ingenti e chi invece perirà, data l’impossibilità di ricominciare a svolgere la propria mansione e di sobbarcarsi i costi che ha comportato questa situazione drammatica.


Questa è la storia di Monica Gaggi, fondatrice insieme a Marco Ascenzi della società «A&G creatori di spazi» nel 1998, ma già attiva nel settore da oltre 35 anni, che ha deciso di raccontarsi e rompere il silenzio assordante che circonda il mondo degli allestitori, che sembrano essere stati abbandonati al loro destino.

“Nonostante le associazioni a cui siamo affiliati (Asal, Federlegno Arredo e Confindustria) ci abbiano continuamente supportato, facendoci sentire meno soli”, dice Monica, “avvertiamo la necessità di uscire dal «backstage». Come? Raccontando chi siamo e che cosa facciamo. L’inaugurazione di un evento, sia questo una fiera una mostra d’arte o altro, è il frutto di un incredibile brulicare di api operaie che, nei mesi precedenti ha progettato e costruito quell’alveare, volando ovunque solo al fine di fornire tutto il necessario per la buona riuscita dell’evento e per il sostentamento di quella comunità. Con questa metafora tento di far intuire quanti uomini e quante donne siano impegnati e coinvolti nella realizzazione di uno stand. Persone abituate a gestire quotidianamente la parola «emergenza» e per le quali non esistono orari, giorni festivi, ponti, Natali, Pasque e Capodanni, ma solo ed esclusivamente la data di inizio dell’evento, il famoso countdown, ovvero il momento in cui tutto dovrà essere pronto, funzionante e perfetto. Aggiungo: «caschi il mondo» e «costi quel che costi». Consci del fatto che il nostro operato sia sempre stato invisibile agli occhi del mondo e delle istituzioni, temiamo che le sofferenze inflitte alla nostra categoria dall’emergenza Covid-19, siano nella migliore delle ipotesi, sottostimate, se non addirittura sconosciute.”

Il settore fieristico genera da solo il 3% del PIL nazionale, senza considerare gli indotti che origina di riflesso (si pensi all’aumento di lavoro nei soli settori turistico-alberghiero, ristorazione e trasporti nei giorni in cui si svolge un evento). Attualmente nel settore allestimenti abbiamo 400 aziende, 5.000 dipendenti, più la quota enorme di artigiani e diverse professionalità che operano con partita iva. Adesso la mole di questo settore dovrebbe essere più chiara. A questo va aggiunto che sono stati i primi a sospendere le proprie attività, già dal 25 febbraio, con numerose fiere rinviate a data da definirsi e molte altre cancellate, e saranno gli ultimi a riprendere, ottimisticamente fra circa dieci mesi. 

“È notizia ufficiale”, continua Monica, “la cancellazione di Cosmoprof che doveva inaugurare a metà marzo proprio nella nostra amata Bologna e che, a causa dell’emergenza Covid-19, ha subito una settimana prima dell’inizio delle fasi di montaggio, ben due rinvii: il primo a giugno, il secondo a settembre, per poi decidere di cancellare l’evento, in assenza di direttive e procedure sanitarie atte a contenere i contagi. Per la mia azienda il Cosmoprof rappresenta l’evento più importante dell’anno. I miei dieci stand, già completamente preparati, che aspettavano solo di essere trasportati in fiera, sono fermi e depositati. I bancali occupano una superficie di 500 mq e ora dovrò non solo subire un danno di diverse centinaia di migliaia di euro, ma anche addossarmi i costi di svariate giornate che i miei tecnici dovranno impiegare nel riordino dei materiali, delle strutture, delle grafiche che resteranno inutilizzati e saranno certamente inadatti all’ipotetico prossimo evento. Questo blocco significa infliggere alle aziende italiane del nostro settore una ferita mortale, che non cessa di sanguinare data la previsione di inattività che ad oggi viene stimata in 10 mesi e uno spaventoso calo di fatturato pari all’ 80%. Inutile dire che gli interventi del governo siano stati, su tutti i fronti, vaghi imprecisi ed insufficienti, lontani anni luce dalle esigenze delle imprese e della vita reale delle persone. Addirittura, di quel poco promesso, dobbiamo ancora vederne l’ombra. E se questi interventi non sono sufficienti alla moltitudine che sicuramente riprenderà prima di noi, come possono soddisfare il nostro comparto che non solo non vede la luce, ma nemmeno il tunnel? Servono aiuti concreti, finanziamenti a fondo perduto, una proroga degli ammortizzatori sociali, un programma certo e condiviso, un confronto fra enti e organizzazioni fieristiche che si assumano la responsabilità di un calendario di ripresa degli eventi equilibrato ma immediato”. 

Un messaggio chiaro rivolto alle istituzioni, perché con la mancanza di aiuti concreti, migliaia di persone rischieranno di perdere il loro futuro e insieme a loro, sotto i nostri occhi, vedremo svanire un universo di magia e di bellezza che oggi più che mai è in pericolo e necessita di essere salvato.

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